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L'odore salmastro del mare, piacevolmente confuso con quello della macchia mediterranea, accompagna questa porzione di terra sarda. Qui la natura ha ripreso il sopravvento sull'uomo, trasformando in città fantasma i centri minerari prosperati tra fine secolo ed il ventennio fascista sull'onda della corsa al carbone.
La costa del Sulcis/Iglesiente e' inquietante, fatta di strade sterrate, di lunghe spiagge bordate da dune e di scogliere dove nidificano ancora i rari falchi Eleonarae. Una terra abitata sin dall'antichità, come testimonia la necropoli di Montessu con le Domus de Janas (le case delle streghe) che si aprono ai lati di due anfiteatri circondati dalla macchia.
Poi arrivarono i Fenici che trasformarono Sant'Antioco in uno dei porti più importanti dell'antico Mediterraneo, dove venivano caricate tutte le ricchezze, oro compreso, estratte nelle miniere dell'Iglesiente.
I centri abitati più importanti di questa zona sono senza dubbio Iglesias e Carbonia. La prima, raggiungibile tramite la Ss 130, si trova a circa 1 ora di macchina dal capoluogo sardo. Dopo le gravi difficoltà dovute alla crisi del settore minerario, attualmente sfrutta il settore turistico come volano per una nuova economia puntando sulla valorizzazione degli impianti e dei villaggi minerari ormai dismessi e sulla ricchezza di un ambiente naturale ricco di risorse. Stesso discorso potrebbe essere fatto per la cittadina di Carbonia, sorta in poco più di 300 giorni agli inizi degli anni '30 per volere di Benito Mussolini, in attuazione della sua convinta politica mineraria.
Proseguendo nel territorio sulcitano sino ad arrivare a Calasetta, si impone la scelta se proseguire lungo la selvaggia e scoscesa costa occidentale o imbarcarsi per la vicina isola di San Pietro.
Il traghetto approda a Carloforte, dove l'architettura delle case, la parlata, i sapori e gli odori sanno di Liguria più che di Sardegna. L'isola e' infatti abitata dai discendenti dei pescatori di corallo liguri fatti prigionieri dai Saraceni e liberati da Carlo Emanuele III nel 1736. Da quindici anni la Lipu organizza, sulle falesie rocciose tra Calvinagra e Capo Sandalo, campi di sorveglianza per proteggere dai "predatori umani" i nidi del falco Eleonorae. Capo Sandalo e' diventata un'oasi con capanni d'osservazione e sentieri segnalati che aiutano anche i non esperti a districarsi tra la profumata macchia mediterranea.
Ritornati sulla terraferma, lasciandosi alle spalle le architetture fasciste di Carbonia, e le ciminiere di Porto Vesme, ci appaiono Nebida e Masua, piccoli centri ancora abitati dai minatori di una delle poche miniere funzionanti nella regione (ai quali va tutta la nostra solidarietà per la loro continua battaglia per il posto di lavoro). La vegetazione ha ripreso possesso delle laverie e delle palazzine, mentre gli oleandri ed i lentischi hanno coperto i binari. In questo affascinante deserto si nasconde Cala Domestica, una delle baie più intatte della Sardegna, usata come base dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Sulla piccola spiaggia venivano imbarcati i materiali estratti dalla miniera di Montecani.
Ma il gioiello di tutta questa costa e' la lunga spiaggia bordata dalle dune bianche che si srotola da Capo Pecora a Piscinas. Passeggiando lungo la spiaggia, al confine con una colonia penale, non e' raro incontrare tracce di conigli selvatici o di pernici. E con un buon binocolo si può anche avvistare il raro cervo sardo che vive nella macchia delle vicine montagne. Alle spalle di questo ecosistema fragilissimo, il villaggio minerario di Ingurtosu, su cui incombono minacciosi progetti di lottizzazione.